Efficienza energetica degli edifici: il DPR 59/09 e la norma UNI EN ISO 13788

L’art.4 del DPR 59/09 (successivamente integrato dal D.Lgs. 28/11), riguardante l’efficienza energetica degli edifici, al comma 17 richiede che, secondo UNI EN ISO 13788, sia verificata l’assenza di condensazioni superficiali e che le condensazioni interstiziali delle pareti opache siano limitate alla quantità rievaporabile secondo la normativa vigente, ossia la quantità di condensa non deve comunque supera il limite stabilito dalla norma pari a 500g/m2 (sapendo che la condensa interna pregiudica l’isolamento termico della struttura).

La norma UNI EN ISO 13788 e la norma UNI EN 15026 (modello dinamico), forniscono procedure di calcolo per determinare:

  • la temperatura superficiale interna di componenti o elementi edilizi al di sotto della quale è probabile la crescita di muffe, in funzione della temperatura e dell’umidità relativa interne
  • la valutazione del rischio di condensazione interstiziale dovuta alla diffusione del vapore acqueo.

Viene anche calcolato il tempo di asciugatura e il rischio di condensazione, per le strutture con 2 strati impermeabili,imponendo una sorgente di umidità.

Entrando nel dettaglio vediamo che le indicazioni di legge impongono al progettista la verifica dell’assenza di formazione di condensa superficiale in condizioni interne fisse, ovvero 65%UR e 20°C (se non esiste un sistema di controllo dell’umidità relativa interna) e con queste ipotesi la formazione di condensa si verifica a partire da temperature inferiori a 13°C circa.
Le norme tecniche prevedono oltre al controllo delle prestazioni igrotermiche (rischio di condensa superficiale e interstiziale) anche la verifica del rischio di muffa, ovvero il calcolo in condizioni di umidità relativa interna pari all’80%, e  in questo caso la temperatura critica minima si attesta intorno a 16°C circa.

Per numerose specie fungine e di muffe le condizioni ideali per proliferare non si manifestano a saturazione, ovvero con UR pari al 100%, ma mediamente a partire da condizioni che superano l’80%. In maniera particolare, per esempio, l’ Aspergillus versicolor necessita di UR minima per la sua crescita del 75%, mentre la Aspergillus chrysogenum necessita di UR minima del 79%. Quindi immaginando un ambiente sano che nel tempo si avvicina alle condizioni critiche, prima noteremo la formazione di muffe sulle superfici termicamente più deboli e poi sulle stesse la formazione di condensa. È inoltre specificato che, qualora non esista un sistema di controllo dell’umidità relativa interna, per i calcoli necessari si assumono i valori UR 65% e T 20°C.

In sostanza, un edificio realizzato o riqualificato secondo i criteri della recente legislazione vigente non dovrebbe presentare problemi di muffe.

Queste tuttavia sono condizioni standardizzate, ma nella realtà l’umidità relativa interna può
assumere valori ben superiori soprattutto nei casi in cui il ricambio dell’aria non sia frequente; inoltre bisogna anche considerare che la temperatura interna degli ambienti può essere variabile (come ad esempio può succedere con l’attenuazione notturna dell’impianto di riscaldamento) ed un abbassamento della temperatura comporta un aumento dell’umidità relativa, a parità di contenuto di vapor d’acqua.

Infatti , facendo riferimento a condizioni realistiche, sono molti i momenti in cui l’umidità relativa interna può superare il 65%, ad esempio nelle stanze da letto dopo alcune ore di permanenza da parte delle persone, nei servizi igienici dopo una doccia, nelle cucine dopo la cottura dei cibi, o quando si stendono panni ad asciugare.

Tramite alcuni calcoli è possibile verificare che la presenza di due persone dormienti in una stanza da letto (con la porta chiusa ed in condizioni di assenza di infiltrazioni) porta in 4 ore ad un innalzamento dell’UR interna dal 40% al 90%.
Questa quantità di vapore, al mattino, dovrebbe essere in qualche modo smaltita, ad esempio aprendo i serramenti per il ricambio dell’aria; se questa operazione non è compiuta, ecco che le possibilità d’innesco di tematiche estreme aumenta sensibilmente. Se il vapor acqueo non viene diluito mediante ricambio dell’aria, esso permane negli alloggi ed il valore assunto per i calcoli, pari al 65% non può essere inteso né come media, né come picco.

È oramai risaputo che gli alloggi sono sempre più ermetici, che le infiltrazioni non sono sufficienti per un idoneo ricambio dell’aria e che l’utenza non provvede più come un tempo ad una buona aerazione (apertura dei serramenti ripetuta più volte al giorno per adeguati periodi).

Come anticipato è molto frequente al giorno d’oggi che nelle residenze si manifestino eccessi di concentrazione di vapor d’acqua.

In definitiva si schematizza l’influenza reciproca dei fattori che concorrono alla formazione di muffa:

  • qualità dell’involucro edilizio (responsabile della temperatura superficiale interna);
  • produzione interna di vapore (legata alla conduzione dell’alloggio);
  • entità della ventilazione